giovedì 21 settembre 2017

L’Italia senza bussola nel lungo inverno europeo. La politica estera della «Seconda Repubblica» nell’analisi di Emidio Diodato



di Damiano Palano

In una calda serata romana dell’estate 1915, mentre percorreva via Nazionale, Francesco Saverio Nitti ebbe modo di incrociare l’allora Presidente del Consiglio Antonio Salandra, che – come ogni giorno, al termine della giornata di lavoro – compiva una lunga passeggiata igienica per rientrare nella sua abitazione di via Carducci. Invitato da Salandra, Nitti – che rievocò l’episodio nelle sue memorie – accompagnò il Presidente del Consiglio nel tratto che conduce verso piazza Termini, e fatalmente, dopo alcuni cortesi convenevoli, la conversazione tra i due uomini politici finì per cadere sulla guerra. «Io» - ricorda Nitti - «evitavo di dirgli cosa alcuna che potesse dispiacergli; poi che in quel momento avevo risoluto di non creare difficoltà al governo. Ma fu egli stesso che mi disse che le cose procedevano bene, quantunque gli Austriaci avessero mostrato un’organizzazione e una resistenza maggiore di quello che si poteva supporre nei primi giorni». Pur senza esprimere apertamente i propri timori, Nitti non mancò di manifestare la sensazione che la guerra sarebbe stata lunga, e che avrebbe comportato per questo difficoltà notevoli. Proprio queste perplessità sollevarono in Salandra il sospetto che il collega non avesse abbandonato il proprio pessimismo. E lo scambio successivo fra i due statisti risolta da questo punto di vista quasi sconcertante, oltre che rilevatore. «Io gli risposi» - scrive Nitti - «che non ero pessimista e credevo alla vittoria finale, ma che mi rendevo conto della realtà. E a mia volta gli chiesi: “L’inverno sarà duro nelle Alpi. Hai provveduto completamente agli approvvigionamenti invernali per l’esercito?” Si fermò di botto. Eravamo sotto un fanale. Ricordo ancora la sua impressione di sorpresa e la sua aria diffidente. Mi disse: “Il tuo pessimismo è veramente inguaribile. Credi che la guerra possa durare oltre l’inverno?”»
Per chi rilegga le memorie di Nitti a un secolo di distanza dalla carneficina della Prima guerra mondiale, l’esibito ottimismo di Salandra non può che suonare piuttosto familiare. Perché, nel corso della «Seconda Repubblica», l’esibizione di ottimismo esasperato – un ottimismo talvolta caricaturale, ma sempre sprezzante nei confronti di quanti, sottolineando semplici dati di realtà, finiscono per essere svillaneggiati come alfieri di un deprecabile ‘sfascismo’ – ha spesso costituito l’arma retorica principale di tutti i principali leader che si sono succeduti a Palazzo Chigi. Anche se – presto o tardi – il forzato ottimismo ha invariabilmente avuto la peggio nell’impietoso confronto con i fatti. Ma forse le memorie di Nitti possono anche offrire un buon prologo per rileggere l’intera storia italiana dell’ultimo trentennio. Perché probabilmente si può riconoscere qualcosa della sconcertante combinazione fra sventato ottimismo, colpevole dilettantismo e criminale improvvisazione, che trascinò l’Italia nella tragedia della Grande guerra, anche nelle dinamiche che condussero la classe politica della tramontante «Prima Repubblica» a sottoscrivere la decisione destinata a determinare il destino del Paese per decenni, e cioè la firma del Trattato di Maastricht.
Alcuni anni fa, nel suo prezioso volume Il vincolo esterno. Le ragioni della debolezza italiana (Mimesis, Milano, 2114), rileggeva proprio le dinamiche che avevano condotto l’Italia a Maastricht, inserendo quella decisione all’interno di una storia di lungo periodo. L’idea di fondo di Diodato – un politologo che, col garbo compassato dello studioso super partes, riesce, quasi senza darlo a vedere, a smontare pezzo dopo pezzo molti dei più consolidati e frusti luoghi comuni della discussione sul ‘caso italiano’ – era che  il mutamento nell’assetto interno di uno Stato costituisca sempre il riflesso delle trasformazioni che si producono nel sistema internazionale. Ma, soprattutto, in quel libro Diodato - anche sulla scorta dell'impostazione illustrata in alcuni suoi testi precedenti, come in particolare Il paradigma geopolitico (Meltemi, Roma, 2010) e Che cos'è la geopolitica (Carocci, Roma 2013) - tentava di cogliere l’intreccio strettissimo tra la dimensione interna e quella internazionale della politica italiana, sottolineando il peso che avevano avuto – nell’indirizzare la democratizzare italiana del secondo dopoguerra – tre «vincoli esterni»: innanzitutto, l’adesione agli istituti di Bretton Woods, dopo la seconda guerra mondiale; in secondo luogo, l’entrata nel Sistema Monetario Europeo nel 1979; e infine l’adesione ai rigidi parametri fissati a Maastricht. Fra le molte sollecitazioni che quel volume sottoponeva al dibattito (anche relative al modo di concepire gli studi politici), Diodato suggeriva una risposta alla domanda sui motivi che avevano spinto la classe politica della «Prima Repubblica», ormai al termine della sua parabola, a sottoscrivere (e anzi ad appoggiare con entusiasmo) un trattato che, di fatto, comportava la fine della ‘sovranità economica’ italiana e che, soprattutto, implicava enormi rischi per l’economia del Paese. La tesi di Diodato, da questo punto di vista, era quasi cristallina: con la dissoluzione del blocco sovietico, le tradizionali linee di politica estera adottate dall’Italia risultarono rapidamente inservibili, tanto da mettere in crisi l’immagine di «media potenza regionale» costruita nel corso dei decenni.

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Nel secondo incontro del ciclo Il mondo in disordine, martedì 24 ottobre 2017, Emidio Diodato, professore di Scienza politica presso l’Università per Stranieri di Perugia, rifletterà sull’«enigma» della politica estera italiana in un secolo e mezzo di storia unitaria. A discutere la lettura di Diodato, introdotta da Mario Taccolini (Università Cattolica), saranno Carlo Muzzi («Giornale di Brescia») e Damiano Palano (Università Cattolica)




Emidio Diodato, politologo, insegna all’Università per Stranieri di Perugia. Ha già pubblicato: Che cos’è la geopolitica nel 2011,a curato il manuale Relazioni internazionali nel 2013 e con F. Guazzini nel 2014 La guerra ai confini d’Europa. Nel 2010 ha pubblicato Il paradigma geopolitico e nel 2014 Il vincolo esterno.

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